Senato Accademico di Febbraio 2009

Verbale a cura di Alberto Miglio del Collettivo di Giurisprudenza

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  1. Lupastro
     
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    Ciao a tutti,

    vi scrivo per aggiornarvi sulla seduta ordinaria di febbraio del Senato accademico e sulla questione del pensionamento degli ordinari a 70 anni, che da un po' di tempo a questa parte sembra diventata il principale argomento di cui ci si occupa in università. Tant'è che domani mattina il Senato ne discuterà per la terza volta.

    Prima di tutto, vediamo di ricapitolare la vicenda.
    Il legislatore, nel 1992, aveva previsto il diritto per i pubblici dipendenti (tra i quali il personale delle università) di ottenere, a richiesta, il mantenimento in servizio per due anni oltre il raggiungimento dell’età pensionabile (d.lgs. 503/1992, art.16: “è in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio […] per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti”).
    Come saprete, la l. 133/2008 ha modificato questa norma, introducendo la possibilità per l’amministrazione di appartenenza (nel nostro caso l’università) di decidere se concedere o no la proroga. Secondo la lettera della nuova norma “è data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta [di prolungamento biennale] in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi”.
    Si tratta evidentemente di una previsione volta a recare sollievo alle casse degli enti pubblici, che eviterebbero di continuare a pagare lo stipendio per ulteriori due anni a un dipendente con la massima anzianità di servizio.

    All’interno dell’università di Torino si è mostrata fin da subito, da parte dell’Amministrazione centrale e in seno al Consiglio di Amministrazione, l’intenzione di approfittare della discrezionalità concessa dalla nuova norma.
    Ne è derivata in gennaio, dopo lunghe trattative, una prima delibera del Senato Accademico, con la quale si prevedeva che “di norma” la proroga biennale sarebbe stata negata. In compenso si è introdotta la possibilità, per chi rinuncia a chiedere la proroga (che tanto non sarà concessa), di continuare a insegnare a contratto, con una retribuzione molto più bassa dello stipendio e cumulabile con la pensione. La delibera prevede che i contratti siano concessi a seguito di delibera del Consiglio di Facoltà, il che presupporrebbe una valutazione discrezionale (probabilmente sulla base dell’attività scientifica e del valore che un professore, anche anziano, può rappresentare per l’università e per i suoi studenti); autorevoli esponenti del Senato Accademico vanno tuttavia sostenendo che, non presentando la richiesta di mantenimento in servizio, si acquisirebbe automaticamente il diritto a ottenere il contratto.

    Inutile dire che la decisione di mandare in pensione gli ordinari a 70 anni ha suscitato polemiche e le proteste di molte facoltà e dipartimenti, nonché alcuni dubbi sulla legittimità del provvedimento: dal momento che la legge prevede che l’amministrazione, nel valutare se concedere o no la proroga, debba tenere conto, oltre che delle “proprie esigenze organizzative e funzionali”, anche della “particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti”, si è sostenuto che non sarebbe legittimo negarla indiscriminatamente.

    Di conseguenza, pressoché l’intera seduta del Senato Accademico del 9 febbraio è stata nuovamente dedicata a questa questione, a parte alcuni provvedimenti di ordinaria amministrazione.
    Il 9/2 non si è rimessa in discussione la regola precedentemente fissata, ossia che “di norma” la proroga non sarà concessa, ma si sono prese in considerazione la possibili eccezioni.
    Dopo tre ore di discussione, nel corso della quale sia il Rettore sia molti professori presenti in Senato hanno sostenuto che il pensionamento di tutti i docenti a 70 anni sarebbe una grave perdita per l’università, sono state poste in votazione tre proposte di deroga.

    La prima riguardava i professori che avessero ricoperto funzioni direttive, come Rettore e Presidi: non però quelli attualmente in carica, ma quelli che fossero stati eletti alle prossime elezioni. La proposta, alla quale ho votato contro, è stata respinta.

    La seconda proposta di deroga, che è passata a maggioranza (con pochi voti contrari, tra cui il mio; i ciellini si sono astenuti) era quella più ampia e potenzialmente in grado di svuotare di contenuto il rifiuto generalizzato del prolungamento biennale: si è infatti attribuito al Senato Accademico, previo parere favorevole del Consiglio di Facoltà e del Consiglio di Dipartimento, il compito di valutare a quali professori, sulla base della “particolare esperienza professionale”, possa essere concesso il mantenimento in servizio.
    La soluzione è, a mio parere, tutt’altro che soddisfacente per tre ragioni:
    1. rischia di far rientrare dalla finestra la proroga biennale, perché c’è il rischio che il Senato Accademico, espressione delle facoltà e dei dipartimenti, dica di sì a tutti;
    2. è dubbio che il Senato sia l’organo più adatto a giudicare: voglio ben vedere come faranno linguisti e sociologi a decidere se un chimico o un veterinario possiedano i requisiti di particolare esperienza professionale per essere mantenuti in servizio e come faranno a motivare il loro eventuale dissenso dalla decisione del Senato;
    3. l’obbligatorietà del parere favorevole del consiglio di Facoltà e del Consiglio di Dipartimento potrebbe creare disparità difficilmente giustificabili, considerato che alcuni Consigli di Facoltà (come quello di Scienze) hanno già annunciato che daranno sempre parere negativo mentre altri, con ogni probabilità, daranno sempre parere favorevole.

    La terza proposta di deroga, che è stata anch’essa accolta e che era probabilmente l’unica sensata e anche inevitabile, riguardava coloro che, al compimento dei 70 anni, non avessero ancora raggiunto i quaranta anni di anzianità contributiva necessari per ottenere il massimo della pensione. In questo caso era palese che negare il mantenimento in servizio sarebbe stato illegittimo. Si tratta comunque di casi estremamente rari, che non dovrebbero avere alcuna influenza significativa sulla situazione finanziaria dell’ateneo.

    La questione, tuttavia, come accennavo in apertura non è ancora chiusa, visto che per domani il Senato è nuovamente convocato per l’approvazione della delibera definitiva. Non so se salteranno fuori altre novità.

    A presto,

    Alberto Miglio
     
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0 replies since 27/2/2009, 22:43   105 views
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